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diario d'officina

serata d'autunno incalzante.
per la prima volta di nuovo,
stasera il portone di legno che già ha accolto "cose di noi"
torna a schiudere i suoi battenti.
e si ritrovano percorsi... odori... suoni...
ancora trame di un discorso interrotto.
mai spezzato.
la luce fredda di neon
si scalda scivolando lungo i muri d'avorio
pregni ancora di emozioni vissute.
stasera di nuovo voci ricominciano ad inseguire sorrisi.
i sorrisi le voci.
occhi nuovi scrutano...
e ritualmente si ripetono gesti mai rituali.
riprendiamo il cammino.
semplicemente.
semplicemente.
senza scarpe di nuovo...
.
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.
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.
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.
.
.
di nuovo l'ultimo ad andare via.
di nuovo la sala buia.
ma non è vuoto.
come luminescente foschia riprende forma,
né basta a se stessa, la voglia di forgiare emozioni.
e donarle.
e la sento addosso.
e si richiude alle mie spalle
dopo aver ceduto ai miei passi che la fendono.
per un attimo mi giro...
allungo una mano...
fino a quanto illusoria
la sensazione di "tenere" tra le dita
l'inconsistente essenza che ci farà essere qui ancora domani?
le voci dei ragazzi... di fuori...
sorridendo ritorno a chiudere il pesante portone di legno...



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venerdì, 11 novembre; lunedì, 14 novembre 2005
ancora per tutto novembre
le pagine del diario
avranno l'andamento irregolare
che già hanno caratterizzato
queste ultime pubblicazioni.
ma nonostante gli impegni
abbiamo scelto di esserci.
"irregolarmente" esserci.

lavorano ancora su pirandello,
alessia e franco,
sostituendomi il venerdì.
ancora sul
"così è se vi pare".
inseguendo il personaggio
ancora in un'altra scena.
analizzandone il "divenire".
il mutare.
L'evolversi.
e la costante adesione
alla sua "verità"
più intima
che mai lo rende diverso
da se stesso.
poi ancora si dialoga
di teatro...
di un lavoro che non si fa.
di un lavoro che "è".
e mi sembra di ascoltare altre sere
nelle parole di alessia...
di franco...
di alessandro...
e forse proprio dai momenti più bui
ha genesi più forte
la necessità di aspirare alla luce.

la voglia di sapere delle mie cose...
del mio lavoro fuori roma...
la voglia di sapere "come stai?..."
è quella che mi accoglie lunedì.
restiamo a parlare un po'
mentre immancabile,
"naturalmente"
maria pone tra noi
due bacchette di cioccolato.
sorrido.
anche quest'anno stiamo crescendo.
e il cioccolato
ne diviene la misura...
tante tensioni
durante gli esercizi
avevo già accusato in loro.
il collo... le spalle... il petto...
le inapparenti rigidità
del nostro corpo di ogni giorno.
così cominciamo con esercizi
di rilasciamento a terra.
le officine in penombra...
i ragazzi distesi...
la mia voce che si insinua.
suggerendo.
indicando.
sostenendo. spero.
solo pochi minuti
- una decina -
prima di riaprire gli occhi...
prima della luce ancora...
prima di rialzarsi
"lentamente, ruotando da una parte..."
ed è come venire fuori da un lieve sonno...
già lasciando l'orma pesante
del proprio corpo...
delle "inapparenti rigidità"...
sulla dura pedana del palcoscenico.
non diversamente
che su sabbia lieve...
gli esercizi di respirazione. poi...
ed ogni volta uno di più.
degradando infine
nell'associazione tra il mo respiro ed il mio corpo.
"aggrapparmi ad una maniglia
 sospesa nel vuoto
 mi consente di condurre avanti
 i miei passi.
 prima la mano sinistra.
 poi la destra.
 il mio respiro
 ritma
 il cammino."
in coppia.
dal fondo verso me.
sembrava semplice
inizialmente.
ma anche in questo cercare
una verità.
non mimare.
"...com'è quella maniglia?
 dove è infissa?
 è il corpo che avanza, non il braccio...
 la maniglia non si muove..."
proviamo più volte
cercando la coordinazione
del nostro corpo con un oggetto che "non è"...
io li guardo...
due per volta.
individualmente, poi.
e non mi ero accorto che intorno a me
era un continuo muoversi di passi
verso una maniglia...
altri esercizi, poi...
ancora cercando una dissociazione...
una asincronia...
o meglio una "asincrona misura"
tra i movimenti delle mie braccia...
delle mie gambe...
della mia testa...
del mio tronco...
esercizi che a volte conducono al sorriso
ironizzando sul proprio improvviso
sentirsi buffi.
e succede che ci interrompiamo
per sorridere di noi...
tra noi...

spengiamo la luce della sala.
ora è solo il palcoscenico.
giochiamo.
proviamo a raccontare la quotidianità.
una stanza delle "mie stanze"...
la mia casa.
svelare il dove sono...
il quando...
il come...
il perché...
immutate le regole del gioco ancora.
non parlare.
non mimare.
stas...
anna...
agnese...
poi gli altri.
e scopriamo da subito
come muta il relazionarsi
ad un ambiente
al mutare di un piccolo gesto.
ed il mio sedermi
diviene
un luogo del giorno.
o della notte.
proviamo ancora.
analizzando ancora.
il pensiero sopra ogni cosa.
ancora.
i ragazzi intorno a me interagiscono
con chi è sul palco.
verità a volte troppo divergenti
si colgono.
essere ancora più netti.
abbandonarsi
senza mai smettere di controllare tutto.
e controllare tutto,
abbandonandosi...
"non cercare di fare qualcuno in una stanza...
 ma prova ad essere in quella stanza...
 e quella stanza - adesso - fa che sia..."
le pentole di margherita sono sul fuoco.
nel forno cuoce qualcosa.
è un tavolo di legno al centro della stanza.
la sua cucina è invasa dal sole.
ed è il vuoto della scena
intorno a lei sulla scena.
ma io vedo ogni cosa.
distinguo pentole...
forno...
tavolo...
il sole...
manca ancora qualcosa, però...
non distinguo se in quella pentola
è solo acqua...
e se bolle adesso...
o se invece è qualcosa
che rosola in casseruola...
"...senza parlare, senza mimare...
 come, allora?"
"ma tu sai cosa è in quelle pentole?...
 e da quanto tempo?...
 e perché?
 ne intuisci l'odore?"...
è andare su un filo sospeso
tra il pensiero e la fantasia,
adesso...
è un equilibrio che non ho...
e di più,
è la paura di cadere...

anche stasera si spengono le luci.


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