diario
d'officina
si smettono gli abiti del mattino.
le scarpe. per prime le scarpe.
uno zaino, la borsa, la tracolla.
ne sfilo via - senza fretta - indumenti che calzo sui miei
pensieri
che striano di ombre e di luci una pedana spoglia. nuda.
il silenzio. e il respiro. sono la misura dei miei passi.
sparigliate giungono poi le prime voci.
saluti, sorrisi, passi di corsa.
ed ognuno, non diversamente da me,
ritualmente e mai per abitudine, via le scarpe.
per prime, via le scarpe.
e la pedana è già palcoscenico.
una cantina, teatro.
e si muovono i primi passi dentro le officine teatrali.
.
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sono l'ultimo ad andare via.
spengo le luci.
ho fatto ordine.
poi sento ancora un clic-clac. è dentro o fuori di me?
sorridendo chiudo il pesante portone di legno...
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venerdì, 4 febbraio
sempre più associando
la respirazione all'emissione.
comprendere...
di più.
assumere un meccanismo.
e non mi pare errato utilizzare il termine "meccanismo"
ove ogni processo si realizzi nel nostro corpo
risponde a precise leggi fisiche, chimiche, meccaniche...
la bocca aperta...
il diaframma che comincia a contrarsi...
così anche i muscoli intercostali respiratori...
una lieve tensione alle corde vocali...
il suono affiora.
le mie mani cingono da dietro il costato di ognuno.
seguono il ritmo di ognuno...
ed ognuno, nelle mie mani, intuisce
il dilatarsi della propria cassa toracica
sinergicamente al dilatarsi del diaframma.
lavoriamo sui toni.
i versi di una poesia sono d'ausilio.
solo sei versi.
letti senza alcuna logica. solo una sequenza di parole.
il primo verso ha un tono bassissimo.
leggo, ed il mio tono, verso dopo verso, si eleva.
gradualmente, fino all'ultimo.
senza forzare, articolando, masticando ogni parola.
poi di nuovo.
in senso inverso.
il primo verso altissimo, degradando di tono fino all'ultimo.
e non è subito chiara la differenza
tra il mio variare tono
ed il volume della mia voce che inevitabilmente
aumenta all'aumentare dell'altezza delle mie parole.
- "immaginavo fosse più semplice..."
singolarmente ognuno prova più volte.
alessandro vuole tornare sul palco.
di nuovo provarci.
-"usa il pensiero... anche adesso, usa il pensiero..."
ed interlocutori che vivono solo nella fantasia di ognuno
prendono corpo.
ora in fondo alla sala, ora ai miei piedi.
e mi meraviglio osservando come ognuno
"creda" ad un esercizio "meccanico"
che ha già perso, dentro di noi, ogni meccanicità.
per la prima volta, stasera,
affiora sulle mie labbra la parola "interpretare".
le improvvisazioni restano in una cesta accanto ad ognuno.
un piccolo paniere di emozioni.
attingere ad esse senza riprodurre nulla di quello già fatto
e vestire di un nuovo abito
i versi di marquez.
un abito lievissimo.
artigianalmente cucito imbastendo i fili del proprio pensiero,
fili di piccole emozioni,
di risposte ai mille perché contenuti dietro ogni verso.
ma adesso quei versi
non sono più singolarmente
un "pretesto" per svelare cose di me
che vivono tra le parole di un poeta.
adesso come un percorso.
come una strada da intraprendere.
pensiero... parola... gesto...
questi i soli compagni del mio cammino.
uno per uno sul palco.
uno per uno a rispondere
ad altri mille perché che pongo...
che affiorano dal loro stesso essere su un palcoscenico...
nulla è casuale.
senza lasciare che le proprie mani
dicano parole diverse da quelle che esprimo.
ognuno sceglie la propria via.
qualcosa che sta a monte delle parole...
qualcosa che vive prima dei versi...
qualcosa che è dentro di me e che nessuno vede...
qualcosa senza il quale nessuna verità
avrebbe il mio volgere lo sguardo alla platea
ed il mio pronunciare "se per un istante..."
e marquez non è più solo parole...
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