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diario d'officina

serata d'autunno incalzante.
per la prima volta di nuovo,
stasera il portone di legno che già ha accolto "cose di noi"
torna a schiudere i suoi battenti.
e si ritrovano percorsi... odori... suoni...
ancora trame di un discorso interrotto.
mai spezzato.
la luce fredda di neon
si scalda scivolando lungo i muri d'avorio
pregni ancora di emozioni vissute.
stasera di nuovo voci ricominciano ad inseguire sorrisi.
i sorrisi le voci.
occhi nuovi scrutano...
e ritualmente si ripetono gesti mai rituali.
riprendiamo il cammino.
semplicemente.
semplicemente.
senza scarpe di nuovo...
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di nuovo l'ultimo ad andare via.
di nuovo la sala buia.
ma non è vuoto.
come luminescente foschia riprende forma,
né basta a se stessa, la voglia di forgiare emozioni.
e donarle.
e la sento addosso.
e si richiude alle mie spalle
dopo aver ceduto ai miei passi che la fendono.
per un attimo mi giro...
allungo una mano...
fino a quanto illusoria
la sensazione di "tenere" tra le dita
l'inconsistente essenza che ci farà essere qui ancora domani?
le voci dei ragazzi... di fuori...
sorridendo ritorno a chiudere il pesante portone di legno...



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venerdì, 28 ottobre 2005
maria tira fuori dalla sua sacca
una barretta di cioccolato.
la posa sul tavolinetto
accanto al palcoscenico.
è lì.
è di tutti.

riprendiamo il lavoro sul gesto, stasera.
di nuovo il braccio
a scostare inapparenti ostacoli
oltre i quali è il mio cammino.
ancora sulla misura del mio movimento.
ancora su una verità
senza la quale
alcuna differenza sarebbe
tra il lavoro d'officina
ed un esercizio muscolare.
ancora più avanti.
ci spingiamo lentamente.
al primo braccio accoppiamo il secondo.
le mie braccia si muovono davanti a me.
regolarmente.
simmetricamente.
come a racchiudere uno spazio
tra la mia spalla e il mio volto.
come fosse una finestra
che ruota intorno a me.
e scorrendo
rivelasse, prima...
e celasse, poi...
il mio viso.
movimenti elementari
che subito mettono a nudo
quel leggero disagio -
pari ad una sensazione
di non naturalezza -
che si palesa
già solo nel cercare
una coordinazione "meccanica" -
sinergia -
ai miei movimenti.
tensioni che già so
acquisiscono spessore.
nuove se ne manifestano.
e di nuovo "il pensiero"
viene in aiuto.
di nuovo cercare
il "perché" di un gesto...
"chi" lo compie...
"dove"...
lavorare sul corpo
non è solo lavorare "il corpo"...
è trovare quell'unica
possibile  simbiosi
tra un semplice gesto,
il contesto in cui esso ha vita...
il pensiero che lo genera...
è quella stessa scintilla
che conduce
ogni giorno
i nostri gesti più semplici
attraverso il cammino della vita.
attimo dopo attimo...
né non ho mai creduto
il teatro
diverso
da un "attimo".

e poi giochiamo ancora, stasera.
improvvisando con una sedia
proviamo a raccontare una storia.
senza parlare.
senza mimare.
e dando vita ad un oggetto
dare vita
a "colui" che prende rapporto
con quello stesso oggetto.
ed i nostri mille perché,
quelli che ci poniamo
senza tregua
in ogni fase del nostro "gioco",
si snodano adesso intorno
ad una sedia impagliata.
ed essa smette poi di essere tale.
ed è una poltrona.
uno sgabello.
una panchina.
rispondendo sempre
ad un'esigenza scenica
strutturale.
mai meramente estetica.
l'oggetto diviene
"tra le mani" di chi lo usa
null'altro che ciò che è necessario
a dare prima vita
ad uno studio sul mio personaggio,
alla mia indagine,
al mio lavoro d'attore.
ed il mio personaggio,
al tempo stesso,
potrà rapportarsi con quell'oggetto
solo come la verità
che io voglio conferire lui
mi imporrà di usare la "sedia".
ed ecco che vengono fuori,
naturalmente,
senza attriti,
termini come "verità oggettiva"
e "verità soggettiva".
entrambi mai  avulsi uno dall'altro,
ma in un continuo penetrarsi
- l'uno con l'altro -
nella ricerca di quell'unica verità,
all'interno della quale
tutte le altre si elidono,
e che unica io devo restituire
al mio pubblico.
si prova.
ci si ferma. si parla.
di nuovo si prova.
raccato la carta argentata
e briciole di cioccolato
quando maria mi chiede
di provare ancora una volta.
ed in pochi istanti
quella sedia
diventa un nascondiglio...
e poi una buffa difesa...
e maria si muove veloce,
quasi passi di danza, i suoi...
ed in quei pochi istanti
prende vita
una donna che gioca...
la sedia di un "bimbo"...
ed inusitato
un compagno di giochi
che vuole catturare...
che fugge...
che di nuovo ritorna.
e che vive, adesso,
in ogni gesto di maria.
adesso,
sul palco...
ed ogni cosa svanisce
quando lei infine
torna a guardarmi
e depone sulla pedana
il suo "nascondiglio"
ora, solo una sedia impagliata...

torniamo a cambiarci.
accendo le luci
e poso la sedia
tra le altre che fanno ala
al grande salone.
e già so che è di nuovo uguale alle altre.
né la distinguerò, domani.
.

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